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Capitolo III
Lars Norén e il dramma della “stanza chiusa”

III.3. Och ge oss skuggorna. La famiglia O’Neill tra realtà documentaria e finzione drammatica

Nessuno   studio  che  si  proponga  di  analizzare  la  produzione  di   Lars  Norén  in rapporto all’opera di O’Neill può dirsi completo senza un accenno a Och Ge Oss Skuggorna[1] (E Dacci le ombre), il dramma in quattro atti - messo in scena e pubblicato nel  1991 - nel quale l’autore svedese rende esplicita la sua attrazione per la vicenda artistica e umana di O’Neill.

La pièce, a cui Norén cominciò a lavorare nel 1982, riscrivendola da cima a fondo per ben cinque volte[2], ritrae il drammaturgo americano nel giorno del suo sessantunesimo compleanno, il16 ottobre 1949, all’interno della casa di Marblehead Neck, a pochi chilometri da Boston, dove O’Neill - già molto malato e ormai incapace di scrivere[3] - si era ritirato insieme alla moglie Carlotta nella seconda metà degli anni Quaranta. Il cottage (che assomiglia non poco al più famoso Monte Cristo Cottage e, come quello, si affaccia sull’Atlantico)  è teatro dell’ultimo incontro fra O’Neill e i due figli, Eugene Jr e Shane, venuti insieme da New York per festeggiare il padre.

Si tratta, dunque, di un ennesimo “quartetto”[4] famigliare, nonché di un dramma biografico, in cui il dato documentario (cioè la situazione reale della famiglia O’Neill al tempo dell’azione, che Norén ha ricostruito tramite un intenso studio delle due più importanti biografie o’neilliane[5]) è in gran parte rispettato, pur essendo allo stesso tempo intrecciato ad elementi di pura finzione e ad altri liberamente tratti dalle opere[6].  Fin dalle prime interviste rilasciate a proposito della pièce, il drammaturgo è stato chiaro riguardo all’autonomia della sua operazione creativa,  e ha dichiarato di non sentirsi in alcun modo oppresso “av alla problem som uppstår när man ska blanda dokument och dikt. [...] Jo, det var väldigt svårt. Men det löste sig på slutet genom att hela materialet kom tillbaka   till mig som mitt eget”[7]Questa “dichiarazione di indipendenza” artistica dalla materia biografica trattata è condivisa dal regista Björn Melander, responsabile della messinscena   a Dramaten, che ha affermato:

[...] som regissör är jag ointresserad av det dokumentära annat än som material att gräva i. Detta är en berättelse om samtid, [...] om människor oavsett om de levat eller inte. [...] Jag känner beröringspunkter med Natten är dagens mor men också med Lång dags färd mot natt. Familjerna går in i varandra.[8]

La  riflessione di Melander mette in luce l’aspetto che maggiormente caratterizza Och ge oss skuggorna, vale a dire la sua natura di “ipertesto”: il dramma raccoglie consapevolmente in sé tutta una tradizione letteraria[9] a cui rivolge  continui richiami, a partire dal titolo.  L’accenno alle ombre rimanda sì alle tenebre simboliche della morte, che O’Neill invoca come unico rimedio al deserto esistenziale in cui è immerso[10], ma è anche un’allusione al dramma And Give Me Death[11], che nella pièce di Norén O’Neill e la moglie sono impegnati a distruggere, insieme a tutti gli altri manoscritti incompiuti del Nobel statunitense (un’azione realmente compiuta dai due coniugi nell’autunno del 1952).

Se è vero che Och ge oss skuggorna può essere compreso e apprezzato senza bisogno di conoscere la storia personale di O’Neill (come è vero - volendo citare un altro memorabile esempio di pièce “semidocumentaria”[12] - che Amadeus di Peter Shaffer resta una lettura avvincente anche per chi nulla sappia del compositore salisburghese), di fatto il dramma risulta infinitamente più suggestivo se si tiene conto della ingente rete di riferimenti biografici e letterari che il testo sottende. 

Al centro di questa griglia di rimandi intertestuali sta, com’era facile prevedere, il capolavoro autobiografico dello scrittore americano, Long Day’s Journey into Night, che “ligger som ett fundament till Noréns alla verk”[13] e che viene nominato senza sosta nel corso della pièce.  Mentre Carlotta esorta  avidamente  il  marito  a  renderlo  pubblico (“Varför ska den  ligga, när  den  kunde vara  ute och göra pengar  över  hela världen?  Sälj den åtminstone till Europa!”[14], ella esclama a un certo punto), Eugene Jr, a cui il padre ha dato il manoscritto perché lo leggesse nel corso del pomeriggio, confessa emozionato che il dramma è “den största pjäs som någonsin har skrivits. Den är fantastisk, [...] en riktig killerdiller. [...] Jag skäms inte för att säga det.  Jag satt däruppe och grät”[15]Il personaggio di Eugene Jr si fa qui portavoce dell’autore, che   ha espresso in più occasioni, e con le medesime parole, il proprio sentimento di venerazione per Journey.[16]

Oltre a inserire “tangibilmente” Journey in Och ge oss skuggorna, facendo del dramma o’neilliano un oggetto di desiderio e di discussione che i membri della famiglia si passano di mano in mano, Norén ripropone nella sua  pièce il modulo a lui caro del “quartetto”, ovvero la rappresentazione della “familjekonstellation med fyra personer”[17] e dei conflitti generazionali al suo interno, che costituivano il fulcro tematico di Long Day’s Journey into Night  -  con la differenza che, nel dramma di Norén un po’ come accade in Dödsdansen di Strindberg, i figli non vivono sotto lo stesso tetto dei genitori, e la loro visita è anzi sentita come una fastidiosa intrusione nell’isolamento  coniugale dell’anziana coppia.

Questi figli ormai adulti (nel 1949 Eugene Jr, che si sarebbe tolto la vita l’anno seguente, aveva trentanove anni; Shane trenta), ma perennemente fragili e disorientati[18], sono per il padre una prova vivente del suo fallimento come genitore, e l’ironia tragica della situazione - come ha ben rilevato Alf Nilsson - è che:

[...]den brist, saknad och sorg som var Eugene O’Neills arvedel under hans egen uppväxt, har han blint omsatt i förhållande till sina egna sönerna.[19]

A questo proposito, Egil Törnqvist ha osservato che Och ge oss skuggorna può vantaggiosamente leggersi come “an ironical ‘sequel play’ to Long Day’s Journey into Night[20]: nel dramma Norén suggerisce che i figli siano per qualche oscuro motivo destinati a ripetere gli errori dei loro antenati.  Come il personaggio di O’Neill riassume nel suo monologo conclusivo:

Jag trodde att jag skulle få gå ut ur rummet, att jag skulle bli fri. [...] Man föreställer sig ju att Sisyfos kände en förhoppning när stenen var nästan uppe - kanske den här gången, kanske denna enda gång...[...] Men vi sitter fast i en osynlig spindelväv, [...] vi kommer aldrig ur rummet.[21]

Il macigno di Sisifo continua a ricadere, dalla “stanza chiusa” del proprio destino non v’è modo di fuggire, e tuttavia qualcuno ha detto che “bisogna immaginare Sisifo contento”[22].


[1] Il dramma, edito da Bonniers, ebbe la sua prima mondiale al Norske Teater di Oslo nel marzo 1991. Il debutto svedese ebbe luogo a Stoccolma il 12 aprile 1991 sulla Stora Scenen di Dramaten (la stessa che aveva visto la prima di Lång dags färd mot natt nel 1956), per la regia di Björn Melander. Gli interpreti erano: Max von Sydow nel ruolo di O’Neill, Margaretha Krook (Carlotta), Reine Brynolfsson (Eugene Jr), Peter Andersson (Shane) e Lakke Magnusson nel ruolo del cameriere. La pièce è stata rappresentata anche in Italia, all’interno del festival “Città Spettacolo” di Benevento, nel settembre 1997 (regia di Sandro Sequi, con Franco Graziosi nel ruolo di O’Neill); per questa messinscena si è utilizzata la traduzione del dramma di A.P.Sanavio, intitolata Nostre ombre quotidiane (vedi: Norén, L., Tre quartetti, Milano, Ubulibri, 1995, pp. 75-163). Qui si è preferito mantenere la traduzione letterale del titolo (E dacci le ombre), con la quale il dramma è conosciuto anche nella versione angloamericana: And Grant Us the Shadows. In proposito si veda: Törnqvist, E., “Playwright on Playwright: Per Olov Enquist’s Strindberg and Lars Norén’s O’Neill”, in: Houe, P. & Rossel, S.H. (eds) Documentarism in Scandinavian Literature, Amsterdam, Rodopi, 1997, p. 160.

 

[2] Così ha dichiarato il drammaturgo in varie interviste. Si veda ad esempio: Werkelid, O., “O’Neill-pjäsen är färdig, efter åtta år”, Svenska Dagbladet, 21.1.1990, dove Norén definisce gli altri drammi composti nel lungo periodo di gestazione della pièce “semesterpjäser  skrivna  i  O’Neill-arbetets pauser”  (drammi di vacanza, scritti durante le pause dal lavoro su O’Neill). 

 

[3] L’autopsia effettuata dopo la sua morte (avvenuta il 27 novembre 1953) rivelò che O’Neill non era affetto dal morbo di Parkinson né tanto meno dalle conseguenze dell’alcolismo, come molti hanno erroneamente sostenuto, bensì soffriva di una rara malattia neurologica che comportò la lenta atrofizzazione di una parte del cervello. Vedi: Black, S.A., Eugene O’Neill. Beyond Mourning and Tragedy, New Haven and London, Yale University Press, 1999, pp. 391; 497.

 

[4] Il ruolo del quinto personaggio (il cameriere Saki) è unicamente “di supporto”.

 

[5] Quella di Arthur  e Barbara Gelb (O’Neill, 1962, rev. 1973)  e, in particolare, gli studi di Louis Sheaffer: O’Neill, Son and Playwright (1968)  e O’Neill, Son and Artist (1973).

 

[6] In particolare Long Day’s Journey into Night e Mourning Becomes Electra.

 

[7] “da tutti i problemi che sorgono quando si devono mescolare fatti e poesia. Sì, è stato enormemente difficile. Ma alla fine [il problema] si è risolto, nel senso che tutto il materiale mi è rimbalzato indietro come mio”. Citato in: Linder, L., “Jag tycker illa om gubben”, Dagens Nyheter, 16.4.1991.

 

[8] “come regista non sono interessato all’aspetto documentario [cioè ai fatti reali, n.d.t.] in altro modo che come materiale in cui scavare. Questo [Och ge oss skuggorna, n.d.t.] è un racconto sul presente, su delle persone, indipendentemente dal fatto che esse siano vissute o meno. Sento punti di contatto con La notte è madre del giorno [che Melander mise in scena nel 1983, n.d.t.], ma anche con Long Day’s Journey into Night. Le famiglie si confondono”. Riportato in: Persson, A.L., “Noréns färd till den gamle O’Neill”, Svenska Dagbladet, 11.4.1991. Norén e Melander non sembrano soffrire dell’”angoscia dell’influenza” teorizzata da Harold Bloom, ma anzi manifestano la ferma volontà di esibire i propri Maestri, citandoli e manipolandoli liberamente!

 

[9] La tradizione “ibseniano-strindberghiana”, di cui si è detto in: III.1.3., p. 102.

 

[10] “Jag har ingenting att leva för längre. [...] Jag har bara öken kvar” (Non ho più nulla per cui vivere. Mi resta solo il deserto). Così O’Neill esprime la sua disperazione al figlio Eugene Jr nel Terzo Atto: Norén, L., Och ge oss skuggorna, Stockholm, Bonniers, 1991, p. 123.  Nel 1948, consapevole che le sue condizioni fisiche si stavano aggravando e che non sarebbe più stato in grado di lavorare, O’Neill divenne membro della Euthanasia Society of America (vedi: Bowen, C., The Curse of the Misbegotten, New York, McGraw-Hill, 1959, pp. 342-343).  Le “ombre” del titolo sono anche, più concretamente, quelle che regnano nel salotto del cottage, oscurato da pesanti tende alle finestre poiché a Carlotta dà fastidio la luce del sole. Sull’atmosfera lugubre e claustrofobica della casa Eugene Jr commenta acido: “Gud, vilket ställe...Rena mausoleet. Det kunde vara här som Klaga månde Elektra utspelade sig” (Dio, che posto...un vero mausoleo. Qui si sarebbe potuto svolgere Il lutto si addice a Elettra). Norén, L., Och ge oss skuggorna, p. 149.

 

[11] And Give Me Death era il titolo provvisorio della terza pièce nel ciclo di drammi A Tale of Possessors Self-Dispossessed, un progetto che O’Neill fu costretto ad abbandonare a causa della malattia. In proposito si rimanda a II.1.3., p. 46, e a: Ranald, M.L., The Eugene O’Neill Companion, Westport, Ct, Greenwood Press, 1984, p. 25.

 

[12] Cioè un dramma che è in parte ricostruzione fedele delle circostanze fattuali, in parte frutto di fantasia. Si potrebbero nominare numerosi altri esempi di questo genere drammaturgico, singolarmente frequentato nei tardi anni Sessanta e nel corso di tutto il decennio successivo. Restando all’interno dei confini svedesi, va senz’altro ricordato il celebre esperimento di Per Olov Enquist, che nel 1975 pubblicò e mise in scena Tribadernas Natt (La notte delle tribadi), una pièce su August Strindberg e sulla sua proverbiale misoginia, ambientata nel 1889. Vedi: Törnqvist, E., “Playwright on Playwright”, p. 155. Esistono, inoltre, vari drammi “semidocumentari” che hanno come soggetto Eugene O’Neill; si tratta spesso di monologhi (che sul palcoscenico diventano efficaci “one man show”) in cui il drammaturgo americano confessa le angosce segrete e i colpi del destino che l’hanno tormentato. In area nordamericana si segnalano: O’Neill (1986) di Anne Legault;  Dancing with the Devil (1987) di Jeff Ryback e Midnight Rainbows (1991) di Patrick Nolan.

 

[13] “costituisce come un fondamento a tutta l’opera di Norén”. Ring, L., op. cit.

 

[14] “Perché deve starsene [sott. chiuso in un cassetto], quando potrebbe essere pubblicato e  far  soldi in tutto il mondo?  Vendilo almeno all’Europa!”.  Norén,  L.,  Och  ge  oss skuggorna, p. 143. Sarà Carlotta a vendere il dramma a un teatro europeo, Dramaten, di lì a pochi anni.

 

[15] “la più grande pièce che sia mai stata scritta. È fantastica, una vera bomba. Non mi vergogno a dirlo. Ero lì seduto al piano di sopra e piangevo”. Ibid., pp. 196-197.

 

[16] Ad esempio in un’intervista a Lars Linder: “[...]Lång dags färd mot natt är den största pjäs som någonsin skrivits” (Long Day’s Journey into Night è la più grande pièce che sia mai stata scritta). Riportato in: Linder, L., op. cit.

 

[17] “costellazione famigliare fatta di quattro persone”. Werkelid, O., op. cit.

 

[18] Eugene Jr è alcolizzato, Shane è dipendente da droghe pesanti e arriva ad iniettarsi una dose di eroina sotto gli occhi del fratello nel Terzo Atto. Vedi: Norén, L., Och ge oss skuggorna, pp. 154-155. Shane riassume eloquentemente la motivazione principale del suo essere alla deriva quando dice: “Han har aldrig brytt sig om vad jag gör, eller vad som händer. Han har aldrig brytt sig om mig” (Lui [O’Neill, n.d.t.] non si è mai curato di cosa faccio, o di ciò che [mi] succede. Non gli è mai importato di me). Ibid., p. 155.

 

[19] “quella mancanza, rimpianto e dolore che furono l’eredità di Eugene O’Neill durante la sua giovinezza, egli li ha ciecamente rinnovati nella relazione con i suoi figli”. Nilsson, A., “Överströmmar och underströmmar”, in: Psykologtidningen, nr 15, 1991, p. 13.

 

[20] “un ironico seguito drammatico di Long Day’s Journey into Night”. Törnqvist, E., “Playwright on Playwright”, p. 163.

 

[21] “Credevo che sarei stato in grado di uscire dalla stanza, che sarei stato libero. Ci si immagina che Sisifo avesse una speranza quando il macigno era quasi in cima - forse questa volta, forse quest’unica volta...Ma siamo bloccati sotto una ragnatela invisibile, non usciremo mai dalla stanza”. Norén, L., Och ge oss skuggorna, p. 216.

 

[22] Camus, A., Il mito di Sisifo, Milano, Bompiani, 1996, p. 121.

 

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