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Capitolo III
Lars Norén e il dramma della “stanza chiusa”

III.2. Natten är dagens mor e Kaos är granne med Gud: due quartetti famigliari autobiografici

I due drammi, che Norén scrisse di getto nel 1981, fanno parte di una trilogia che Mikael van Reis ha denominato “hotellsviten”[1], poiché interamente ambientata all’interno di un albergo a gestione famigliare nel sud della Svezia (che è un calco fedele della pensione gestita dalla famiglia di Norén negli anni ’50).   Il terzo dramma della trilogia - intitolato Stillheten (La calma) e composto nel 1984 - non è disponibile in volume, dunque la nostra analisi verterà unicamente su Natten e Kaos.

I titoli delle pièces sono tratti da un’elegia del poeta romantico svedese  Erik Johan Stagnelius[2], anche se il primo rimanda direttamente al capolavoro di O’Neill, oltre che alla canzone di Cole Porter “Night and Day”, intonata dal protagonista David nel finale e che diede il titolo alla versione angloamericana del dramma[3].  Entrambi i testi mettono in scena una stessa famiglia - della quale non viene mai specificato il cognome - costituita da: madre, padre e due figli maschi  (la cui differenza d’età, esattamente come quella esistente tra Edmund e Jamie in Journey, è di dieci anni), ritratti all’interno del piccolo albergo che è la loro dimora.   Le minuziose indica-zioni sceniche poste all’inizio dei drammi ci informano che Natten si  svolge il  9 maggio 1956, dall’alba a notte fonda, nella cucina e in una camera da letto dell’hotel; l’azione di Kaos ha invece luogo la sera del 17 settembre 1961 ed è ambientata nella hall dell’albergo.   Nonostante i quattro personaggi abbiano nei drammi nomi diversi[4], i loro caratteri, interessi e le modalità delle loro relazioni sono talmente simili da giustificare, e anzi richiedere, una lettura di Kaos come seguito - o, almeno, un possibile seguito - di Natten.[5]

Alf Nilsson ha opportunamente descritto Natten come “ett drama om de aggressiva motivens spel i en narcissistiskt fastlåst familj”[6]; la situazione descritta in Kaos rappresenta le conseguenze distruttive  della  nevrosi famigliare già delineatasi nella prima pièce: le  disfunzioni  che in Natten sembrano rimediabili (la malattia della madre non è ancora stata diagnosticata come tumore maligno, i gravi problemi economici dell’hotel possono ancora far sperare in una ripresa, gli strani comportamenti del figlio minore non sono ancora in maniera inequivocabile il segno di uno squilibrio mentale) diventano, nel seguito del dramma, irreversibili. Kaos si chiude in modo del tutto conseguente con  la morte della madre, il commiato del figlio maggiore Frank, il ritorno di Ricky in clinica e la vendita dell’albergo: la famiglia si è definitivamente sfaldata.  Ciò che il secondo dramma ci fornisce è, in sostanza, la chiave di lettura per comprendere appieno aspetti che nel primo erano solo abbozzati (innanzitutto, la psicosi di David/Ricky). 

Come in Long Day’s Journey into Night, che - insieme all’esperienza personale di Norén - è il riferimento primario per l’autore, la struttura dei due drammi è quella classica della pièce “analitica” in quattro atti: le unità aristoteliche[7] sono scrupolosamente rispettate (in Kaos il tempo dell’azione coincide quasi perfettamente con quello della rappresentazione) e la comprensione dei retroscena dell’azione da parte del pubblico, nonché  la  sua  partecipazione  emotiva,  è  favorita  dai numerosi momenti espositivi, in cui il passato famigliare viene gradualmente a galla.  È, ad esempio, attraverso un lungo monologo “narrativo” che, in Natten, il padre Martin rivela le motivazioni profonde della sua grave dipendenza dall’alcol, che ha effetti devastanti su di lui e sull’equilibrio della famiglia. Le ragioni delle sue bevute[8] vanno ben oltre le momentanee preoccupazioni finanziarie e risalgono a un mai superato senso di inadeguatezza nei confronti della moglie e dei suoi parenti alto borghesi, come è evidente da questo scambio di battute:

ELIN  Jaså...Så fort vi får bekymmer har du börjat igen. [...]

MARTIN  Jag  hade  ett  helvete. Och  som om inte det var  nog med  det  såg dom  ner på mig,  din  släkt och dina bekanta. [...] Om jag bara en enda dag  slapp  den där hemska misstänksamheten;  [...] om  du  bara  en  enda  gång  kunde ge mig...Elin, kunde älska mig.[9]

“Om jag super är det för [...] hon gör inget annat än föraktar mig”[10]: le parole di Martin suonano sorprendentemente simili a quelle pronunciate dal contadino Jeppe, il popolarissimo personaggio “vittima” della commedia di Ludvig Holberg[11], che condivide col padre di Natten il tratto caratteristico di una tragicomica umanità.

Quella che emerge dai due quartetti - come da tante altre pièces di Norén - è una figura paterna profondamente in crisi: infiacchiti dalle asprezze del vivere, non più in grado di costituire un modello maschile positivo per i figli, né di garantire la presenza di una simbolica autorità famigliare, Martin  ed  Ernst  - al pari di  James Tyrone in Journey  -  sono  il patetico bersaglio dell’aggressività verbale e fisica dei loro famigliari.  I veri e propri assalti corporali[12], che Martin subisce nel corso di Natten e che danno la misura della violenza repressa e pronta a esplodere nell’alveo famigliare, si svelano anche come forma (benché paranoica) di difesa individuale: come animali selvatici, i personaggi anticipano con le loro aggressioni gli attacchi altrui, in un crescendo di ferocia degno di un artaudiano teatro della crudeltà.[13]

A soffrire maggiormente della mancanza di un riferimento genitoriale stabile è il figlio minore, che tenta con varie strategie di provocare il padre per costringerlo a prestargli attenzione, sia mettendo in dubbio il vincolo biologico che lo lega al genitore, come fa David in Natten:

DAVID  Jag kan inte begripa att du är min far. Är det verkligen sant?

MARTIN  Det är klart att jag är din far. Varför säger du så?

DAVID Är det säkert? Är jag inte Charles Lindberghs kidnappade baby?[14];

sia sfidando il padre sul terreno insidioso di una presunta omosessualità[15], che Ricky usa come arma per farsi ascoltare (peraltro con scarso successo) in Kaos:

RICKY  Pappa.

ERNST  Nej, jag vill inte höra. [...]

RICKY  Pappa, jag är homosexuell. [...]

ERNST  Va?

RICKY  Jag är homosexuell bara, [...] hörde du vad jag sa?

ERNST  Nej, det gjorde jag inte. [...] Jag slår dig. Det skulle jag ha gjort för länge sedan.[16]

Il bisogno che i secondogeniti hanno di una guida e di  un supporto maschile li porta a cercare nei fratelli maggiori (i quali hanno a loro volta sopperito all’assenza del referente genito-riale con un “machismo” spesso brutale) un sostituto paterno: la  scena  in   cui,  in  Natten,  David  e  Georg  improvvisano  un duetto al sassofono sulle note di Gerry Mulligan[17] è uno dei rari momenti di distensione del dramma, e rende manifesta tutta la disperata devozione che - sotto cumuli di dissonanze e brucianti conflitti - lega i due fratelli.   L’autore fa qui un uso indovinato e altamente metaforico della jam session: è infatti tipico della musica jazz ricavare armonia da suoni contrastanti.

Per quanto riguarda, infine, il personaggio della madre, in entrambe le pièces ella costituisce l’epicentro attorno al quale si struttura la famiglia, come dimostra l’immediata dissoluzione di questa dopo la sua morte.  Elin/Helen[18] è oggetto di desiderio incestuoso per i figli, specialmente per il maggiore, e bersaglio dell’odio-amore del marito, che vorrebbe gettarle addosso la responsabilità dei suoi fallimenti: “Det är ditt fel. Du har gjort så att dom kan göra vad dom vill med mig”[19]. Il rapporto della madre con l’ambiente famigliare è ambivalente: se è grazie ai suoi sforzi che il matrimonio resta in piedi (“Jag har försökt hålla samman hemmet för er skull, för dig och Georg”[20], dice a David), Elin manifesta più volte il disgusto per questa vita di compromessi quando esclama: “Om man bara kunde komma härifrån på något sätt!”[21].

A proposito della natura autobiografica di questi testi, che ne fa un correlativo svedese all’”esercizio di memoria”[22] o’neilliano, Norén ha confermato che:

[Natten och Kaos] är i mycket hög grad självbiografiska dramer. Alla de konflikter som de gestaltar har inträffat, mer eller mindre som de framställs. Det var nödvändigt för mig att göra det i den formen, även om det var mycket ångestfyllt.  [...]dessa pjäser var förstås ett sätt att gestalta min bakgrund på.[23]

È senz’altro legittimo leggere Natten e Kaos come drammi “confessionali”, in cui l’autore viene a patti col proprio passato e lo trascende; ugualmente corretto è vedere in essi un documento, un sintomo e un simbolo del tempo in cui viviamo: della coppia di pièces è stato scritto che “det kan ses som ett porträtt av den (post)moderna familjens kris, utlämnad till ett symboliskt och socialt tomrum utan någon klar funktion, och där [...] barnet är predestinerat att gå vilse”[24].


[1] “Il ciclo dell’hotel”. Vedi: van Reis, M., “Den omänskliga komedin”, p. 268. La coppia di pièces è stata pubblicata col titolo: Två skådespel, Stockholm, Bonniers, 1983. Per comodità, faremo uso dei titoli abbreviati dei drammi (Natten; Kaos). Natten ha avuto la sua prima allo Stadsteater di Malmö il 23 ottobre 1982 per la regia di Göran Stangertz, ed è poi stato rappresentato l’anno seguente sia al Dramaten di Stoccolma (regia di Göran Graffman), sia - in tandem con Kaos - allo Stadsteater di Göteborg (in una produzione di grande successo diretta da Björn Melander).

 

[2] “Natten är dagens mor/Kaos är granne med Gud” (La notte è madre del giorno/Il caos è vicino di casa di Dio) è il distico conclusivo della lirica Vän! I förödelsens stund (Amico! Nel momento della disperazione), che fa parte della raccolta Liljor i Saron, pubblicata da Stagnelius nel 1821.

 

[3] Con il titolo Night and Day, la traduzione del dramma fu messa in scena allo Yale Repertory Theatre di New Haven nell’autunno del 1984. La pièce avrebbe dovuto essere rappresentata a Broadway la primavera successiva, con Jack Lemmon nel ruolo del padre, ma la produzione fu sospesa per mancanza di finanziamenti. La messinscena a Yale, che ricevette un’accoglienza alquanto fredda, resta l’unica rappresentazione di un dramma di Norén finora effettuata negli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Italia, esiste una traduzione (incompleta) del dramma, realizzata da A. Palme Sanavio e pubblicata in: Norén, L., Tre quartetti, Milano, Ubulibri, 1995, pp. 7-74. Questa traduzione, intitolata La notte è madre del giorno, è stata utilizzata come testo dell’unica messinscena italiana, che ebbe luogo al festival di Asti Teatro nell’estate del 1988, per la regia di Sergio Rubini.

Non esiste, invece, alcuna traduzione italiana di Kaos.

 

[4] David (il figlio minore, sedicenne), Georg (il maggiore), Martin ed Elin (i genitori) in Natten; Ricky (27 anni), Frank, Ernst ed Helen in Kaos. In quest’ultimo dramma si ag-giunge un quinto personaggio, unico ospite dell’albergo, di nome Rex, che corrisponde al ruolo “di supporto” della cameriera Cathleen in Long Day’s Journey into Night.

 

[5] Nella sua “doppia” messinscena del 1983, Björn Melander utilizzò gli stessi nomi (presi da Natten) per i personaggi dei due quartetti, che venivano recitati dai medesimi attori a sere alternate. La scelta registica accentuò nel pubblico la sensazione che sul palcoscenico si rappresentasse l’evoluzione della stessa famiglia. A proposito di questa messinscena in tandem delle sue pièces, Norén ha dichiarato: “det blev nog mycket präglat av att det var samma regissör [...] som gjorde alla dem. Det blev hans trilogi. [...] Men det tidigare [skådespelet] fungerade väl som en sorts bro över till det senare; de genomlyser varandra, som olika nivåer i en sorts Escher-system” ([la rappresentazione, n.d.t.] fu probabilmente molto segnata dal fatto che fu lo stesso regista a realizzare tutte [le pièces]. Divenne la sua trilogia. Ma il primo dramma funzionava bene come una specie di ponte a quello successivo; essi si illuminano a vicenda, come differenti livelli in una sorta di sistema di Escher). Citato in: Nylander, L., op. cit., p. 356.

 

[6] “un dramma sul gioco dei motivi aggressivi, [che si scatenano, n.d.t.] all’interno di una famiglia   bloccata nel suo narcisismo”. Nilsson, A.,“Psykos  i  teatersalongen”, Psykologtidningen, nr 1, 1985, p. 4.

 

[7] Ha notato il drammaturgo a questo proposito: “Jag vill in i en tvångströja som liknar den som är franskklassicismen. Ju hårdare den tvångströjan är, desto större möjligheter till förändringar finns det” (Intendo indossare una camicia di forza che è simile a quella che è il classicismo francese. Più quest’armatura è resistente, maggiori sono le possibilità di trasformazione). L’intervista è riportata in: Janzon, L., op. cit., p. 27.

 

[8] Pur nella sua drammaticità, l’alcolismo di Martin dà vita in Natten a situazioni di  comicità esilarante, come quando - per sfuggire alla moglie e a Georg, che vogliono sottrargli le chiavi del deposito di liquori - egli si rifugia nel suo ufficio-gabbiotto dalle pareti trasparenti e si rivolge con smorfie e gesti osceni ai famigliari; o come quando, momentaneamente solo in scena, rivela i nascondigli di fortuna che ha escogitato per le bottigliette di superalcolici (le ha addirittura riposte nella sacca dell’aspirapolvere e nelle anatre sventrate da cucinare nei giorni seguenti!). Inoltre, esattamente come accade ai tre personaggi maschili nella pièce di O’Neill, l’abuso di alcol induce Martin a mettere a nu-do i propri reali sentimenti verso i famigliari, funzionando da agente “smascheratore”.

 

[9] “ELIN: Eh sì, non appena abbiamo [avuto] delle preoccupazioni [sottinteso: economiche, n.d.t.], tu hai ricominciato [a bere, n.d.t.]. MARTIN: Era un inferno per me. E, come se non bastasse, i tuoi parenti e conoscenti mi disprezzavano. Se solo potessi evitare per un unico giorno questa terribile diffidenza; se solo per un’unica volta tu potessi darmi...Elin, potessi amarmi”. Norén, L., Två skådespel, pp. 43-44.

 

[10] “Se mi sbronzo è perché lei non fa altro che disprezzarmi”. Ibid., p. 119.

 

[11] Ludvig Holberg (1684-1754), danese di origini norvegesi, è considerato il fondatore della letteratura danese moderna. Autore di raffinati saggi e poesie, è oggi ricordato prevalentemente per il suo repertorio teatrale, che ha non pochi tratti in comune con la produzione di Molière. Jeppe paa bierget (Jeppe della montagna), composta nel 1723, è una delle sue migliori e più divertenti commedie.

 

[12] Martin viene aggredito due volte nel corso del dramma: una volta dal figlio maggiore, che lo costringe a confessare di aver ripreso a bere (al principio dell’Atto II); un’altra (alla fine dell’Atto III) dall’intera famiglia che cerca di immobilizzarlo per fargli ingerire dei sonniferi e relegarlo in camera da letto. È durante quest’ultima, drammatica colluttazione che l’azione raggiunge il suo climax, quando il padre scaraventa una sedia addosso alla moglie e centra in pieno il lampadario di cristallo, che si infrange in mille pezzi sul pavimento della cucina.

 

[13] Il vero culmine dell’azione si ha alla fine dell’Atto Terzo, con la rottura di un oggetto altamente simbolico per la famiglia (il lampadario era il regalo fatto dai genitori a  Elin per il suo matrimonio). In modo appropriato, anche se a prima vista stravagante, Norén posiziona un Epilogo (di cui si dirà in III.2.2, pp. 121 e segg.) alla fine di questo Atto, mentre per tutto l’Atto Quarto la tensione va progressivamente sgonfiandosi finchè tutti decidono di andarsene finalmente a dormire (per ricominciare - si suppone - a tormentarsi non appena spunterà il nuovo giorno).

 

[14] “DAVID: Non riesco ad afferrare come tu possa essere mio padre. È proprio vero? MARTIN: Ma certo che sono tuo padre. Perché dici così? DAVID: È sicuro? Non è che sono il neonato rapito di Charles Lindbergh?”. Norén, L., Två skådespel, p. 103.

 

[15] La promiscuità degli atteggiamenti di David e Ricky è indice di un conflitto o, quanto meno, di una profonda confusione dei due giovani riguardo alla loro identità, non solo sessuale. È, in particolare, David (che in Natten ha sedici anni e dunque si trova nel pieno del periodo critico dell’adolescenza) a esprimere lo smarrimento più grande: il suo bisogno di identificarsi con una figura maschile “forte” si palesa quando, davanti allo specchio, fa la pantomima di alcuni famosi attori hollywoodiani (vedi: ibid., p. 11).

 

[16] “RICKY: Papà. ERNST: No, non voglio ascoltare. RICKY: Papà, sono omosessuale. ERNST: Cosa?  RICKY: Sono omosessuale, tutto qua, hai sentito quel che ho detto? ERNST: No, non ho sentito. Ti spacco di botte. Avrei dovuto farlo tanto tempo fa”. Ibid., pp. 234-239.

 

[17] Sono numerosissimi, nei due drammi, i riferimenti musicali e cinematografici. Nelle loro conversazioni i due fratelli citano: Gerry Mulligan, Chet Baker, Charlie Parker, Stan Getz and the Oscar Peterson Trio, Max Roach, Fats Navarro, The Modern Jazz Quartet, Frank Sinatra, Fred Astaire e vari musicals anni ‘30-’40, oltre a canzoni popolari svedesi come “När jag vilar i din famn” e il repertorio di Otto Brandenburg; e per il cinema: Marlon Brando, Robert Ryan in Knockout, Montgomery Clift e Burt Lancaster (in Da qui all’eternità), Tutta Rolf e la commedia svedese anni ’50. Come si dirà a proposito della radio, con questi accenni l’autore crea una griglia di riferimento culturale (gli anni Cinquanta e i primi Sessanta) che contribuisce a contestualizzare l’azione delle pièces in un determinato tempo e luogo, secondo i dettami naturalistici.

 

[18] La somiglianza dei due nomi non è casuale (anche in Modet att döda la madre aveva nome Elin): i personaggi sono in realtà incarnazioni di un principio materno universale, che rappresenta il luogo reale e simbolico in cui tutto ha avuto origine e che - come afferma Jean Chevalier - “presenta un doppio aspetto, generoso e possessivo, costruttivo e distruttivo”. Chevalier, J.; Gheerbrant, A., Dizionario dei simboli, Vol. II, Milano, BUR, 1987, pp. 54, 555.

 

[19] “È colpa tua. Sei stata tu a permettere che [i figli, n.d.t.] facciano quel che gli pare con me”: così Martin dopo aver subito l’aggressione di Georg. Norén, L., Två skådespel, p. 59.

 

[20] “Ho cercato di tenere insieme la famiglia per il vostro bene, per te e per Georg”. Ibid., p. 72.

 

[21] “Se solo ci si potesse in qualche modo allontanare da qui!”, ibid., p. 93. In Kaos Helen, che si è effettivamente allontanata (è ricoverata in ospedale da diversi mesi), corona la sua breve (e, ahimè, ultima)  visita in famiglia con le parole “Jag skulle inte ha åkt hem” (Non sarei dovuta tornare a casa). Ibid., p. 209. I personaggi di Natten e Kaos ripropongono il “dilemma famigliare” su cui ci siamo soffermati in: I.2.1, pp. 35 e segg.

 

[22] Vedi: II.1.1., p. 40.

 

[23]Natten e Kaos sono in larga misura drammi autobiografici. Tutti i conflitti che rappresentano hanno avuto luogo, più o meno come sono presentati [nei drammi, n.d.t.]. Era necessario per me farlo [cioè: scriverli, n.d.t.] in questa forma, anche se ha comportato molta angoscia. Questi drammi sono naturalmente stati un modo per rappresentare le mie origini”. Riportato in: Nylander, L., op. cit., p. 356.

 

[24] “può essere considerata un ritratto della crisi della famiglia (post)moderna, abbandonata in un vuoto simbolico e sociale senza alcuna chiara funzione, e dove il bambino è predestinato a smarrirsi”. Ibid, pp. 340; 342.

 

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