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Capitolo III
Lars Norén e il dramma della “stanza chiusa”

III.2.1. La metafora della “stanza chiusa”

“Se solo ci si potesse in qualche modo allontanare da qui!”.  Lo sfogo di Elin in Natten är dagens mor è anticipato da un commento, che la madre fa come en passant mentre varca la soglia  della cucina all’inizio del Secondo Atto, e che ci sembra carico di una singolare eloquenza: “Det är ju rena gaskammaren här inne”[1].  L’osservazione di Elin va interpretata  su  tre livelli: da un lato, è un riferimento all’aria soffocante della cucina, in cui il padre ha appena terminato di preparare il pranzo; dall’altro, è un’allusione nemmeno troppo oscura al senso di oppressione fisica e psicologica generato dal claustrofobico milieu famigliare, dal quale i personaggi non possono né debbono - in funzione dell’esistenza del dramma -staccarsi.  Infine, la frase costituisce un accenno all’altra   camera a gas a cui si fa riferimento nel testo: quella, realissima, nella quale (siamo nel maggio del 1956) sta per essere giustiziato il detenuto americano Caryl Chessman[2].

Abbiamo già accennato all’importanza della “stanza chiusa” per Norén, sia come strumento mimetico e spazio naturalistico in cui situare il conflitto teatrale (tutte le pièces di cui ci occupiamo inscenano spazi chiusi che - come in un gioco di scatole cinesi - rimandano ad altri spazi chiusi, tra cui appunto la camera a gas di Chessman), sia come luogo simboli-co: la “scena” mentale, ubicata nella persona dell’autore, in cui i personaggi e le loro interazioni prendono forma e dove ha origine la scrittura.  Il termine “scena” è qui da intendere nella sua accezione psicoanalitica, ossia nel significato di “fantasins krets [...] där jaget sätts på spel som ett oidipalt subjekt och där individens ursprung, sexualitetens uppvaknande och skillnaden mellan könen är tre viktiga betydelser”[3].  

Oltre ad essere lo spazio delimitato, ancorato a un tempo preciso e definito da oggetti specificati minuziosamente, in cui Norén rinchiude i suoi personaggi, senza lasciarli uscire “på något annat sätt än genom sig själva, genom varandra”[4], la “stanza  chiusa” assume in questo senso una valenza soggettiva e rappresenta una condizione interiore: è l’universo simbolico, dominio della memoria e dell’inconscio, in cui il personaggio - così come l’autore e il lettore/spettatore -  ha ricevuto la prima e  definitiva  ferita  esistenziale, identificabile con il momento della nascita e della separazione dall’utero materno[5]. È da questa ferita solo superficialmente dimenticata, dal dolore generato nel ricordo della separazione originaria (“minnen är glömd sorg”[6], esclama la madre Helen in Kaos) che scaturisce la creatività e, nel caso specifico, la scrittura drammatica.

La stanza naturalistica  - e tanto più la casa, che ne è un ingrandimento -  è anche un simbolo della famiglia che in essa è “segregata”.   Ha  notato Alf  Nilsson:

Det finns teorier om att “huset” är ursymbolen för familjen, “huset” som man aldrig riktigt kan lämna och som man i hela livet är sysselsatt med att “dekonstruera”. [...] Norén tar in sin familjekvartett i det slutna rummet (“huset”), stänger dörrarna och släpper sedan inte ut medlemmarna, och oss som åskådare, förrän han demaskerat något av det vibrerande system av krafter och motkrafter, som verkar i familjen.[7]

La famiglia “narcisistica”[8], come Nilsson definisce il quartetto domestico che Norén ritrae nelle hotellpjäser, è un sistema a chiusura stagna, in cui l’unico canale di comunicazione col mondo esterno è costituito dall’apparecchio radiofonico.  La radio fa  da  “ponte” sonoro  con  la  realtà  sociale  e  culturale che si estende al di fuori delle quattro mura domestiche, diffonde musica e poesia[9], ma  - al  modo  di  uno  specchio deformante - fornisce anche notizie su ambienti ben altrimenti claustrofobici: la camera a gas e la cella d’isolamento di Chessman in Natten; la camera ardente di Dag Hammarskjöld[10], da poco deceduto, in Kaos.   Quel che la radio offre nel corso dei drammi non è, in ultima analisi, una via di fuga, bensì una serie di immagini che riecheggiano e “raddoppiano” lo stato di chiusura  (spaziale ed emotiva)  in cui si trova la famiglia.

In Natten är dagens mor, il senso di chiusura che contraddistingue la situazione famigliare è evidente fin dalle didascalie iniziali: sceso in cucina di prima mattina, David si accerta d’essere solo nella stanza e “drar för gardinerna[11]. Parimenti, in apertura del Secondo Atto, Martin “kontrollerar alla dörrar och fönster[12] prima di farsi di nascosto un goccetto. Man mano che la giornata avanza, lo spazio continua a comprimersi e, al principio dell’Atto Quarto, le indicazioni sceniche prescrivono una scena “förändrad, något mindre eller helt utan fönster[13]: la cucina si è progressivamente ristretta fino ad assomigliare a una vera e propria scatola sigillata.

Chiuso ermeticamente è anche l’ufficio-bugigattolo (una sorta di gabbiotto con pareti di vetro trasparenti, incuneato in un angolo della scena), dentro al quale Martin si barrica - con o senza la bottiglia - quando l’atmosfera famigliare si fa insopportabile[14].  Questo ulteriore spazio chiuso non è, tuttavia, un rifugio sicuro e il padre stesso ne sottolinea la mancanza di privacy quando protesta, con un’osservazione di sapore metateatrale: “jag får sitta där inne i den där skrubben, där alla kan se rakt in”[15].  Altre gabbie/trappole a  cui  si  fa cenno nel testo contribuiscono a moltiplicare l’impressione di prigionia che il dramma comunica: la voliera nella quale   David tiene i suoi colombi e le trappole per topi[16] sistemate sotto  il  lavello  della  cucina  sono  riproduzioni miniaturizzate della “gabbia” famigliare. 

Gli stessi dialoghi sono intrisi di espressioni che denotano l’atto del rinchiudere e dell’occultare: verbi come “fånga”, “stänga in”, “gömma”, “stoppa undan”[17] ricorrono insistente-mente e trasmettono il clima dispnoico nel quale la famiglia è immersa. Il senso di soffocamento che, attraverso tutti questi artifici scenici e linguistici, si viene a creare nel corso delle due pièces[18] è funzionale a portare in superficie e a far divampare la tensione latente, che - non potendo trovare altri sfoghi esterni - si manifesta con violenza esplosiva nel frantumarsi di elementi interni alla stanza, e precisamente: il lampadario di cristallo in Natten; lo specchio del salotto in Kaos[19].   Nella quiete irreale che segue queste deflagrazioni emerge il conflitto essenziale alla base dell’intera trilogia, ossia la lotta ancestrale tra genitore e figlio per una simbolica supremazia nell’angusta arena domestica.

Lo  psicoanalista  americano D. W. Winnicott  ha osservato che “uppväxandet är att ta föräldrarnas plats, [...] en aggressiv handling som går vägen över en vuxen människas döda kropp”[20]. Ciò è particolarmente evidente nel finale di Natten, quando, dentro a uno spazio scenico innaturalmente compresso e devastato[21], David indossa lo smoking e la sciarpa di seta del padre e proclama: “Nu är det jag som är herre i huset”[22].  Poco dopo, il dramma si chiude sulle note di “Night and Day”, che David canta e balla facendo il verso a Fred Astaire in Gay Divorce e rivelando la sua natura di entertainer: “en sjungande Orfeus, som hoppas att få känna sitt egentliga jag”[23].

David  (l’alter ego dell’autore)  è l’unico personaggio dei quartetti  che riesca  -  benché  temporaneamente  e  spesso solo nella sua fantasia  - ad aprire una crepa nelle mura della “stanza chiusa”, l’unico che manifesti la volontà di “slå sönder den plats  där  det nya ska komma, eller vara platsen för det”[24],  come Norén  formula  in una sua poesia  la capacità dell’individuo di elaborare la propria sofferenza e pervenire a una catarsi.  È solo attraverso l’esperienza della crisi, del caos, di una violenta lacerazione - sembrano comunicarci le hotellpjäser - che possiamo giungere a una comprensione della nostra identità e delle nostre risorse profonde; è solo al termine della notte che si intravede la luce rassicurante del giorno.


[1] “È una vera e propria camera a gas qua dentro”. Norén, L., Två skådespel, p. 51.

 

[2] Caryl Chessman (1921-1960), scrittore americano noto come “l’assassino della luce rossa” poiché si narrava fermasse le sue vittime sulle strade con una luce rossa, fu arrestato e condannato nel 1949 ma per dodici anni riuscì a sfuggire alla camera a gas, scrivendo alcuni libri in sua difesa e contro la pena capitale (il più noto è Cella 2455, braccio della morte). Venne giustiziato nel 1960 nel carcere di San Quentin, senza che si fossero trovate prove certe della sua colpevolezza. La sua condanna a morte fu uno dei “casi” più scottanti dei tardi anni ’50, paragonabile - per lo scalpore che destò - all’esecuzione  dei  coniugi  Julius  ed  Ethel  Rosenberg  nel  1953.   In  Natten è il figlio minore David a interessarsi alle sorti di Chessman, accendendo senza sosta la radio per sapere le ultime notizie sul detenuto, col quale - morbosamente - si identifica.

 

[3] “sfera immaginaria in cui l’io è messo in gioco come soggetto edipico e dove l’origine dell’individuo, il risveglio della sessualità e la differenziazione tra i sessi sono tre importanti significati [o più correttamente: concetti, n.d.t.]. van Reis, M., “Den omänskliga komedin”, p. 259. Magnus Florin si riferisce allo spazio interiore in cui si genera la scrittura come “separationens kluvna scen” (la scena [corsivo mio, n.d.t.] lacerata della separazione). Florin, M., “Du måste förändra ditt liv”, p. 391.

 

[4] “in nessun altro modo se non attraverso loro stessi, l’uno attraverso l’altro”. Florin, M., “Den nattliga festen”, p. 18.

 

[5] Quello che lo psicoanalista austriaco Otto Rank ha chiamato “trauma della nascita”.

 

[6] “i ricordi sono dolore dimenticato”. Norén, L., Två skådespel, p. 198.

 

[7] “Esistono teorie sul fatto che  ‘la casa’  è il simbolo primario della famiglia, ‘la casa’ che non si riesce mai a lasciare completamente e che per tutta la vita siamo occupati a ‘decostruire’. Norén inserisce il suo quartetto famigliare nella stanza chiusa (‘la casa’), spranga le porte e non lascia poi uscire i membri [del quartetto], e noi spettatori, prima di aver smascherato qualcosa del fremente sistema di forze e controforze che sono all’opera nella famiglia”. Nilsson, A., “Familjelivet blottläggs”, Psykologtidningen,  nr 2, 1991, p. 9.

 

[8] Vedi: Nilsson, A., “Ett drama om den narcissistiska familjen”, Psykologtidningen nr 12, 1983, pp. 4-5.

 

[9] All’inizio del Secondo Atto di Natten, Martin prepara il pranzo ascoltando alla radio la rubrica “Dagens dikt” (La poesia del giorno), in cui lo speaker Ulf Palme legge una poesia di Hjalmar Gullberg. È interessante notare che, nella messinscena del dramma diretta da G. Graffman a Dramaten nel 1983, si decise di trasmettere alla radio un frammento di Lång dags färd mot natt, che nella primavera del 1956 - il tempo dell’azione di Natten - veniva rappresentato con grande successo nel medesimo teatro. In proposito si veda: Törnqvist, E., “Strindberg, O’Neill, Norén: a Swedish-American Triangle”, in The Eugene O’Neill Review, Vol. 15, No. 1, Spring 1991, p.69.

 

[10] Dag Hammarskjöld (1905-1961), uomo politico svedese e - dal 1953 - segretario generale dell’O.N.U., morì in un incidente aereo per cause mai chiarite mentre si recava in Congo, per risolvere la crisi politica di quel paese. Il suo nome è anche legato alla messa in scena di Long Day’s Journey into Night in prima mondiale a Dramaten: fu Hammarskjöld a fare da “ambasciatore” tra il suo vecchio amico Karl Ragnar Gierow e la vedova di O’Neill, Carlotta Monterey, al fine di ottenere per il teatro di Stoccolma i diritti di rappresentazione della pièce (e quelli di tutti gli altri drammi postumi). In una lettera all’amico Gierow, datata 31 maggio 1955 e conservata nell’archivio di Dramaten, egli affermava : “I have not forgotten your wish to break up the gates to the O’Neill treasury. I hope you will try it and succeed, thus giving Stockholm a new chance to show what O’Neill’s countrymen do not dare to produce” (Non ho dimenticato il tuo desiderio di spalancare i cancelli del Tesoro di O’Neill. Mi auguro che ci proverai e che avrai successo, dando così a Stoccolma un’altra opportunità di presentare ciò che i connazionali di O’Neill non hanno il coraggio di mettere in scena). Riportata in: Olsson, T., “O’Neill and the Royal Dramatic”, in: Floyd, V. (ed.), Eugene O’Neill. A World View, New York, Frederick Ungar, 1979, p. 45. Ad Hammarskjöld fu assegnato postumo, nel 1961, il premio Nobel per la pace.

 

[11] “tira le tende”. Norén, L., Två skådespel, p. 11.

 

[12] “controlla tutte le porte e le finestre [per accertarsi che siano chiuse, n.d.t.]. Ibid., p. 47.

 

[13] “trasformata, un po’ più piccola oppure completamente priva di finestre”. Ibid., p. 115.

 

[14] Con grande disappunto della moglie, che lo rimprovera dicendo: “Kan du aldrig sitta ner så att vi får vara tillsammans - måste du alltid smita in i något hörn?” (Non puoi mai stare seduto [sottinteso: al tavolo da pranzo, dove la famiglia si riunisce per i pasti, n.d.t.] così che possiamo stare insieme - devi sempre svignartela in un angolo?). Ibid., p.29. Il fatto che Martin tenti di allontanarsi dalla scena ogni qualvolta la situazione si fa critica, per chiudersi nel suo stanzino, esprime il suo desiderio di scrollarsi di dosso le responsabilità verso la moglie e i figli. Invece di affrontare di petto una discussione con loro, Martin si eclissa, si rende irraggiungibile (un po’ quel che fa Mary Tyrone iniettandosi la morfina in Long Day’s Journey into Night).

 

[15] “mi tocca starmene seduto lì dentro, in quello sgabuzzino sotto gli occhi di tutti”. Ibid., p. 42. Interpretando la frase da un punto di vista metateatrale: lo sgabuzzino è la scena dentro alla quale l’attore si mette in mostra e gli occhi sono quelli degli spettatori.

 

[16] Vedi: ibid., pp. 11; 24.

 

[17] “imprigionare”, “rinchiudere”, “nascondere”, “otturare”. Vedi: ibid., pp. 11,38,90,104.

 

[18] Se la riflessione sulla “stanza chiusa” è applicabile sia a Natten che a Kaos, il primo dramma è senz’altro più caratterizzato da un’atmosfera claustrofobica, ed è per questo che si è  scelto di trattarlo in maniera più approfondita.

 

[19] Per una discussione di questi episodi, si rimanda alle note 337 e 337, p. 107. La rottura dello specchio, che Ricky infrange al termine di Kaos, coincide con il momento della morte della madre nella sua camera da letto e marca un punto “di non ritorno” per l’azione drammatica, che  infatti  si  chiude  poco  dopo.

 

[20] “crescere significa prendere il posto dei genitori, un’azione aggressiva che passa sopra al cadavere di una persona adulta”. L’affermazione, contenuta nel saggio Playing and Reality, è citata in: Hansell, S., “Oordningens frälsning”, Stockholms Tidningen, 5.9.1983.

 

[21] In apertura del Quarto Atto, subito dopo il crollo del lampadario che costituisce il picco di massima tensione nella pièce, la scena rappresenta una vera e propria waste land : al posto del lampadario penzola una lampadina attaccata a un filo, il tavolo da pranzo si è capovolto nella colluttazione per immobilizzare Martin e “kristaller ligger överallt som långa tårar” (pezzi di cristallo sono sparsi ovunque come lunghe lacrime). Norén, L., Två skådespel, p. 115.

 

[22] “Ora sono io il capo della famiglia”, ibid., p. 120. Il “travaso” d’identità fra David e Martin rimanda a un’analoga confusione di ruoli tra padre e figlio (anch’essa realizzata tramite lo scambio di vestiti), su cui ci siamo soffermati a proposito del dramma di Sam Shepard Curse of the Starving Class. Vedi: I.2, pp. 25-26.

 

[23] “un Orfeo canterino,  che spera [attraverso la poesia, n.d.t.] di poter conoscere il suo io autentico”. Nylander, L., op. cit., p. 239.

 

[24] “infrangere il punto dove il nuovo deve giungere, o essere il punto per questo [cioè: diventare un canale attraverso il quale il cambiamento può avere luogo, n.d.t.]”. Il verso è contenuto in una lirica della raccolta Hjärta i hjärta, riportata in: Nylander, op. cit., p.7.

 

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