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Capitolo II
Long Day’s Journey into Night

II.3.1. “The most modern of moderns”: O’Neill e il debito con Strindberg

A detta di Henry Gifford, i paragoni letterari più proficui sono quelli che “the writers themselves have accepted or challenged their readers to make, [...] those that spring from the ‘shock of recognition’, where one writer has become conscious that  an affinity exists between another and himself”[1].

Il nostro è uno di questi casi: O’Neill  fu infatti il primo a riconoscere il ruolo cruciale, che Strindberg aveva avuto nella formazione della propria sensibilità e tecnica teatrali.  Già nei primi anni Venti, egli ebbe occasione di manifestare pubblicamente la propria ammirazione per lo svedese (i cui testi aveva scoperto durante  il  ricovero  in  sanatorio nel 1913,  ma  che  non aveva mai visto rappresentati[2])   nel   programma  introduttivo  alla  messa in scena  di  The  Spook Sonata (in svedese: Spöksonaten) da  parte dei Provincetown Players, la compagnia teatrale  di cui O’Neill faceva parte in quel periodo.  Il “dramma da camera”, composto da Strindberg nel 1907, fu messo in scena alla Provincetown Playhouse di New York come spettacolo inaugurale della stagione 1923-24, e la scelta artistica del gruppo fu presentata da O’Neill con queste parole:

[...]we start with a play by August Strindberg;  for Strindberg was the precursor of all modernity in our present theatre[...].  Strindberg  still  remains  among  the most modern of moderns, the greatest interpreter in the theatre of the characteristic spiritual conflicts which constitute the drama - the blood! - of our lives today.[3]

Dodici anni più tardi, nel 1936, si presentò nuovamente a O’Neill   l’opportunità di ricordare il proprio debito nei confronti dell’iniziatore della “drammaturgia dell’io”[4], questa volta di fronte ai suoi conterranei.  In occasione della consegna del premio Nobel, O’Neill mandò agli accademici di Svezia un singolare discorso di accettazione; più della metà di esso consisteva in un elogio entusiasta di Strindberg[5], del quale si sottolineava ancora una volta la modernità:

[...]It was reading his plays when I first started to write[...]   that above all else gave me the vision of what modern drama could be, and first inspired me with the urge to write for the theatre myself. [...]That original impulse has continued as my inspiration   down   all   the  years  since  then.   [...]For   me  he remains, as Nietzsche remains in his sphere, the Master,  still to this day more modern than any of us.[6]

Per capire perché Strindberg fu tanto importante per O’Neill dobbiamo quindi cercare di definire in cosa consista la “modernità” a cui si fa riferimento nei due documenti, sia  in termini di contenuti che di metodo drammatico.


[1] “gli stessi autori hanno accettato o hanno sfidato i loro lettori a trovare, quelli che hanno origine dallo ‘shock di identificazione’, nel quale uno scrittore si rende conto che esiste un’affinità tra la sua opera e quella di un altro”. Gifford, H., Comparative Literature, London, Routledge, 1969, p. 73.

 

[2] “We   do  not  have  any   proof  that  O’Neill   ever  saw  a  production  of  a  play  by Strindberg. [...]His familiarity with Strindberg’s plays was therefore that of the reader, not the spectator” (Non c’è alcuna prova che O’Neill abbia mai visto rappresentato un dramma di Strindberg. La sua familiarità con il teatro strindberghiano fu dunque quella del lettore, non dello spettatore): Törnqvist, E., “Strindberg and O’Neill”, p. 279. Al contrario,  O’Neill  aveva visto la messa in scena di Hedda Gabler di Ibsen a New York nel 1907 e ne aveva ricevuto un’impressione indelebile, come ricorda in una lettera. Vedi: Bogard, T. & Bryer, J.R., op. cit., p. 477.

 

[3] “iniziamo con un dramma di August Strindberg; poiché Strindberg è stato il precursore di tutta la modernità [che è presente] nel nostro teatro contemporaneo. Strindberg resta tuttora tra i più moderni dei moderni [corsivo mio, n.d.t.], il più grande interprete a teatro dei tipici conflitti spirituali che costituiscono oggi il dramma - la linfa! - delle nostre vite”. O’Neill, E., “Strindberg and Our Theatre”, in: Frenz, H.(ed.), American Playwrights on Drama, New York, Hill and Wang, 1965, p. 1.

 

[4] “Con Strindberg ha inizio quella che più tardi prenderà il nome di drammaturgia dell’io e che costituirà per decenni il quadro della letteratura drammatica”. Szondi, P., op. cit., p. 31.

 

[5] L’elogio dovette suonare come un chiaro rimprovero all’Accademia, che per ben undici volte aveva rifiutato di assegnare il Nobel al suo scomodo - benché geniale - connazionale. In proposito vedi: Törnqvist, E., “Strindberg, O’Neill, Norén: a Swedish-American Triangle”, in: The Eugene O’Neill Review, Vol. 15, No. 1, Spring 1991, p. 65.

 

[6] “Fu la lettura dei suoi drammi quando cominciai a scrivere che più di ogni altra    cosa mi fece comprendere ciò che il dramma moderno poteva essere, e mi ispirò a scrivere io stesso per il teatro. Quell’impulso iniziale si è mantenuto come un’ispirazione costante in  tutti questi anni.  Per me egli resta, come Nietzsche rimane nel suo campo, il Maestro, ancora oggi più moderno di tutti noi”. Riportato in: Frenz, H., op. cit., pp. 41-42.

 

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